Alzi la mano chi sa qual è il ruolo di un Creative Director. Bene.
Ora, alzi la mano chi sa cosa significa creare sound identities. Ecco.
Oggi ospitiamo nientemeno che Alessandro Franconetti, il Creative Director di Evoke The Spectrum, una realtà che si rivolge direttamente al senso dell’udito di tutti noi per creare esperienze emotive uniche, rafforzare le identità dei brand e trasformare gli eventi in momenti indimenticabili.
Alessandro, che, insieme al collega Maurizio D’Aniello, ha lavorato per brand ed eventi iconici, indimenticabili e coinvolgenti grazie al sound design, e ha condiviso con noi il suo punto di vista, il suo lavoro, la sua esperienza e…
Ma bando alle ciance: lasciamo che siano le sue parole – e il suo sound – a raccontare.
Parliamo un po’ di te. Chi è Alessandro Franconetti, e qual è stato il percorso che lo ha portato a diventare Creative Director di Evoke The Spectrum?
È una domanda molto interessante e su cui ragiono spesso. A volte ci si trova in un posto e occorre riguardare un attimo indietro per capire come ci si è effettivamente arrivati. Mi reputo principalmente una persona curiosa e che ama amare ciò che fa. Per questo il mio percorso è anche segnato da amori passeggeri in quello che è il mondo della comunicazione e della creatività nel senso più ampio dei termini. La mia vita professionale parte dal video.
Ho iniziato come Producer e poi ho proseguito con la regia di videoclip e documentari di musica. Poi, sempre seguendo la passione per la musica e l’arte, ho diretto due festival e vari eventi. Alla fine sono approdato (nel 2013) in quella che ancora oggi reputo la mia isola amata, ovvero la comunicazione sonora. Girando attorno alla musica, senza peraltro essere un musicista, ho compreso l’enorme valore del suono come veicolo di emozioni e strategie di comunicazione e marketing. In questi venti e più anni di ricerca mi sono spostato molto…da Roma a San Francisco (dove ho studiato), a New York (dove mi sono specializzato e mosso i primi passi nel lavoro), Parigi e poi Milano.
Oggi mi piace definirmi un Sound Experience Designer. Racchiude molto di ciò che faccio e di ciò che vorrei fare in futuro. Ma il punto di partenza, diciamo ciò da cui tutto è partito sono gli studi in Media Ecology alla NYU, dove ho avuto un grande maestro come Neil Postman. Ancora oggi, mi reputo principalmente un ecologista dei media. Proprio in virtù di questo mio approccio, ho scelto e investito sul suono come mio linguaggio primario per comunicare. E oggi penso di essere stato molto fortunato ad averlo fatto… o forse di aver preso anche qualche scelta giusta.
Evoke The Spectrum fornisce un servizio assai peculiare: progetta identità sonore per i brand. Ci vuoi raccontare questo mondo?
Certo. È un mondo che è evoluto molto rapidamente negli ultimi anni e che, anche in Italia, fa sempre più parte dei processi di brand-development e reinforcement. Le ragioni principali per cui sempre più brand rivolgono la loro attenzione al suono per costruire identità solide e memorabili penso siano principalmente due: uno sviluppo tecnologico sempre più incentrato su media audio (pensate al ruolo degli assistenti vocali, ai podcast, alle cuffie costantemente collegate al nostro telefono, al “tu duum” di Netlfix etc etc.) e il sovraffollamento di immagini nel panorama comunicativo odierno.
Io mi sono avvicinato a questo mondo più o meno nel 2012 quando cominciai concretamente a ragionare su come poter utilizzare suono e musica per supportare i brand nella loro comunicazione e nel proprio branding. Nel 2013 a Parigi ho iniziato a collaborare con alcuni brand nella valorizzazione della retail experience tramite la progettazione di ambienti sonori e musicali che andassero incontro alle loro esigenze. In quel periodo ho studiato molto e ho cercato nuove soluzioni, scoprendo l’Audio Branding e una comunità internazionale di professionisti che stavano svolgendo attività molto simili alla mia (e in alcuni casi ispirandomi e spingendomi oltre). Notando anche che nel mio paese (l’Italia) le case di produzione musicale occupavano uno spazio e quelle di marketing strategico e creatività un altro, ho provato a portare l’Audio Branding in Italia. Inizialmente eravamo veramente in pochi (forse davvero uno o due), e si faticava molto a trasmettere ai brand quanto avessero bisogno di implementare il proprio branding di dimensioni ulteriori, oltre a quella visiva.
Oggi è tutto più semplice e i brand che vogliono farsi sentire sanno benissimo di quanto sia importante ricorrere al suono.
Tornando al mio percorso… fino ad allora avevo svolto la mia attività con il nome Evoke. Poi nel 2018 ho incontrato il compositore e Producer milanese Maurizio D’Aniello dello studio The Spectrum ed abbiamo dato vita a Evoke The Spectrum. Da allora supportiamo molti brand nel rafforzare la propria identità arricchendola di una dimensione sonora. Il nostro lavoro consiste principalmente nella progettazione di identità ed esperienze sonore (tra cui gli eventi), ma anche di creatività audio in ambito Adv.
Solitamente l’udito non è il primo senso che si associa a un evento – a meno che non vi sia strettamente legato. Qual è il motivo per cui scegliere invece un’esperienza sonora può rivelarsi una mossa vincente?
Penso che un evento senza suoni sia come un buon piatto, saporito e visivamente piacevole a cui manca la componente olfattiva. Il suono, in modo molto simile all’olfatto, lavora su un piano percettivo profondo. Può cambiare l’umore delle persone in una stanza, può evocare ricordi lontanissimi e rappresentare un futuro ricordo indelebile. Il suono, all’interno di un evento può presentarsi in vari modi… sotto forma di musica (possibilmente concepita ad hoc per essere associabile al brand e a quell’evento… e non a esperienze pregresse di diversa natura), di sonorizzazione e personalizzazione dei vari momenti… o come supporto agli altri sensi nel definire un’esperienza caratterizzante e in grado di essere ricordata. In generale penso che più sensi vengono coinvolti nella progettazione di un evento, maggiori le possibilità di raggiungere questo risultato.
Evoke The Spectrum è coinvolta in numerosi settori, programmi televisivi, brand internazionali, grandi eventi. C’è un lavoro in particolare che ti ha colpito e che ricordi sempre con affetto? Perché?
Sì, ce ne sono molti ma se dovessi sceglierne uno in base a ciò che mi ha fatto provare come persona, oltre che come professionista, direi un lavoro realizzato qualche anno fa per una piattaforma di streaming audio molto conosciuta.
Ci chiesero di scrivere e sviluppare per loro una Educational Experience per raccontare al pubblico in modo efficace ed immersivo l’immenso potenziale del suono nell’attivare un immaginario legato al brand senza neanche fare uso di immagini. All’evento presenziarono circa 300 ospiti provenienti da noti brand, agenzie pubblicitarie e media agencies. Agli ospiti venne dato un paio di cuffie e vennero bendati. Chiaramente per noi fu una grande sfida, dato che il player più importante al mondo in ambito audio stava chiedendo a noi di supportarli nel comunicare le più innovative “next-practice” audio in ambito pubblicitario e di branding.
La scrittura fu un momento magnifico, pieno di libertà. E la produzione fu ricca di sperimentazione. Tutta la clip venne realizzata in audio 360°. Io e il mio socio Maurizio decidemmo di produrre molte parti provando una tecnica di registrazione molto simile al piano sequenza cinematografico… di base creando veri e propri ambienti all’interno dello studio e registrando tutte le scene in un unico momento di ripresa audio. La scelta era anche piuttosto rischiosa perché ogni eventuale modifica avrebbe previsto la ri-registrazione dell’intera scena. Alla fine tutto funzionò alla grande e capimmo di aver fatto centro quando durante l’evento il pubblico bendato iniziò a reagire simultaneamente allo stesso modo agli stimoli sonori che sentivano in cuffia: il pubblico muoveva la testa come per guardare ciò che stava in realtà ascoltando. Incredibile.
Il cliente ricevette feedback molto importanti dal pubblico presente. Penso che in quel momento anche noi abbiamo preso ulteriore coscienza di quanto adatta sia la definizione dell’audio come “teatro della mente”.
Quello fu un momento importante perché influenzò profondamente il modo in cui avremmo lavorato negli anni successivi… e l’audio immersivo è diventato un po’ un timbro di fabbrica del nostro studio e che i brand ci chiedono di sviluppare per la loro comunicazione ed identità di brand (inclusi ovviamente i loro eventi).
Ho personalmente avuto la fortuna di visitare (due volte) la mostra “Fantasmi e Spiriti del Giappone” allo Spazio Tenoha di Milano, e devo dire che è stata un’esperienza fantastica – grazie anche al sottofondo che accompagna i visitatori da quando si varca il ponte rosso, sino a quando se ne esce. Prendendo esempio da questo progetto, ci vuoi raccontare come si svolge l’iter lavorativo, gli step necessari e lo studio che servono per creare un evento indimenticabile?
La progettazione dei vari ambienti sonori presenti in quella mostra è stato molto stimolante anche per noi. Anche perché amiamo molto la cultura giapponese, così come il lavoro di Lacombe e lo spazio in cui si è tenuta la mostra (Tenoha Milano). Quindi penso che il progetto che citi sia un ottimo esempio. Non so se la visione del nostro studio Evoke The Spectrum per rendere un evento indimenticabile corrisponda a una ricetta universale, ma posso raccontarti qual è il nostro metodo.
Sebbene sulla carta nella coppia creativa io sia quello che progetta e Maurizio quello che realizza, in realtà lavoriamo a stretto contatto su tutte le fasi di sviluppo di un progetto. Maurizio ha la necessità di partire dalla ricerca dell’Idea… io sento invece la necessità di capire esattamente quali siano i momenti e i punti di contatto più efficaci per comunicare.
Devo creare prima di tutto una mia mappatura del flusso comunicativo. Dal confronto, insieme cerchiamo di concepire l’idea, come e dove comunicarla e come renderla accattivante a livello sonoro. Un altro mantra ossessivo dello studio è la creazione del team più adatto al progetto e al risultato che ci prefissiamo. Evoke The Spectrum è uno studio che si nutre di collaborazioni e ibridazioni.
Questo ci aiuta ad avere sempre nuovi punti di vista e a non cadere nella trappola delle comfort zone creative.
Parliamo di tecnologia: quali sono gli strumenti indispensabili per il tuo lavoro? Il mondo dell’intelligenza artificiale ha mosso i suoi passi nel Sound Design? Come pensi si evolverà questo ruolo in futuro?
La tecnologia è onnipresente nel nostro lavoro, ma cerchiamo il più possibile di renderla funzionale a un obiettivo progettuale e non a utilizzarla per partito preso o per moda.
Il discorso delle intelligenze artificiali è al tema del giorno già da un po’ di tempo a questa parte. Abbiamo sviluppato anche dei primi format interni e stiamo continuando a fare molta ricerca per comprendere quanto (e come) effettivamente sia implementabile nei nostri servizi e nella comunicazione dei nostri clienti. Comunque l’intelligenza artificiale viene utilizzata regolarmente nel sound design già da vari anni… basta pensare agli assistenti vocali e all’uso sempre più frequente di assistenza vocale nel mondo dei brand.
Ma il discorso, davvero, è in continua evoluzione.
Quale consiglio vorresti dare a chi si approccia a questo mestiere? Quali sono le skills hard e soft che non possono proprio essere date per scontate?
La curiosità, il saper ascoltare un cliente e il sapere sempre mettersi nei panni di nuovi ascoltatori.
Ringraziamo di cuore Alessandro per la sua disponibilità e il suo interessantissimo scorcio sul lavoro di Creative Director e Sound Designer, e chissà che non troveremo modo di approfondire in futuro.
Nel frattempo, arrivederci allo IEN!